IL CAMMINO DEGLI INFERMIby Arminio |
METTO
QUI UN PEZZO USCITO SU IL MANIFESTO DI OGGI. stasera siamo a lacedonia,
parlamenti sull'iribus e poi cena di sostegno al giornale.
saluti
a tutti
arminio
Prima
si camminava, adesso si telefona o si vaga nella rete. Nella civiltà contadina
per vivere bisognava camminare molte ore al giorno. Al mio paese il fazzoletto
di terra, che poi era un fazzoletto di pietre, poteva distare anche dieci
chilometri. E in un giorno se ne facevano venti, insieme al mulo e alla
zappa.
L’Italia
negli ultimi anni si è letteralmente fermata. Chi non è fermo davanti alla
televisione, è fermo davanti al computer o è dentro un’automobile. Si vedono sul
ciglio delle strade solo gli stranieri. Qualche giorno fa ho incontrato una
badante che ogni giorno fa cinque chilometri a piedi per spostarsi dal letto
dove dorme al letto dove accudisce un’anziana.
Pure
io cammino poco ultimamente. Potrei accampare la scusa di una lesione al
menisco, ma il motivo vero è che al mio paese non c’è più nessun motivo per
camminare. Non ho un fazzoletto di terra da raggiungere, non c’è più nessuno con
cui passeggiare. Quando esco in piazza trovo i miliziani del rancore. Qualche
spirito più lieve ha ormai da tempo rinunciato a uscire. I ragazzi non amano le
vasche, stazionano davanti al bar e si spostano solo per approdare davanti alla
sala giochi. I ragazzi non passeggerebbero mai con un cinquantenne.
Per
camminare non mi resta che prendere la macchina fotografica e farmi un giro
lontano dalla piazza, nel museo delle porte chiuse che è diventato il mio paese.
Non sono camminate che fanno bene. Quando torno a casa mi sento peggio di prima.
E mi metto davanti al computer a scrivere. Scrivo seduto sul divano, col
computer sulle gambe. È una postura che mi consente di rimanere davanti allo
schermo anche per sei ore, ma è una postura micidiale. Fra poco girare il collo
o piegare la schiena saranno operazioni complicate.
Nei
miei testi continuo a fare l’elogio dell’andare fuori, però anche nei miei giri
paesologici di fatto passo molto tempo in macchina. Faccio camminate brevi,
spesso mi prende lo sconforto e mi rimetto in moto in cerca di un altro
paese.
Insomma,
quando si parla della penuria di esperienza, bisogna ricordare che sta
diventando impossibile proprio quella fondamentale, quella del camminare.
Ultimamente
si vedono dei camminatori infelici, gente che ha avuto un infarto o teme di
averlo. E allora avanti, avanti con la cura coatta del corpo, avanti col
fregarsene di quello che accade intorno a noi. L’importante è stare in forma,
anche se poi non si sa bene che farsene di questa forma. Al massimo si può
telefonare o scrivere al computer.
Io
credo che il primo gesto per ridare spazio al camminare sia quello di chiedere
le dimissioni del capitalismo burocratico. Ci sono troppi uffici, troppe
scrivanie. Le persone hanno la testa allagata di parole. E quando stai con la
testa allagata di parole camminare più che salutare è doloroso. Dovresti
guardare il mondo e sei fermo nella palude delle tue ansie, delle tue paure,
delle tue recriminazioni. Vorresti camminare in leggerezza, soffiare via ogni
peso e invece sei addobbato come un albero di natale e continuano ad arrivarti
pesi da ogni parte.
Adesso
il computer ce lo portiamo in tasca. Per aprire la posta elettronica non c’è
bisogno di tornare a casa. Basta sedersi e vedere che dicono di noi gli altri
infermi come noi.
Dal
nomadismo al divano è passato molto tempo, lo stesso che divide l’età della
pietra da quella della piastrella. È arrivato il momento di rimettersi in
cammino, ma senza aloni misticheggianti. Camminare per guardare, camminare
perché percepire è più importante che giudicare, guardare quello che c’è
piuttosto che pensare il mondo per come ce lo hanno descritto altri. È tempo di
uscire, di sciamare nell’esterno, per vedere come ogni giorno qualcosa si disfa
e qualcosa si forma. Non bisogna camminare per allungarsi un poco la vita, ma
per renderla più intesa. Uscire a vedere, girare dietro e intorno alle cose,
attraversarle, collezionare dettagli, misurare la realtà con la pianta dei
piedi. Il mondo è colossale, non può essere richiuso nella baracca del nostro
io. Abbiate cura di andare in giro. Non rimanete fermi come uno straccio sotto
il ferro da stiro.