“micame”
di Livio Borriello
[Edizione Orientexpress OXP, 2008]
Salone del Libro 2008, Torino.Troppe coincidenze.
In una sola volta conosco l’autore, la sua opera prima, una nuova forma romanzo, una nuova forma poesia, una nuova forma racconto, una nuova forma saggio. Il libro è “micame” di Livio Borriello, edito da OXP.
Il titolo (mica_ me!) sembra voler sgombrare il campo da un equivoco legittimo, non è una autobiografia, anzi non è solo un’autobiografia: si parla di noi!
L’autore lo fa in un modo originale, ci regala dei cammei di emozioni, ci presta sue schegge di vita, a volte si propone come calibro per misurare le nostre intimità, sempre con un certo “understatement”, usa il dubbio come lievito per il pane della nostra quotidianità.
L’idea (indotta dalla lettura della recensione sul sito di Tiziano Scarpa) che il libro costituisca una sorta di cassetta degli attrezzi, da usare all’occorrenza, per manutenere le nostre vite usurate è sicuramente accattivante, ma tale immagine resta lontana dallo spirito dell’autore: è eccessivamente “funzionale”.
E’ semmai saggio di fotografia, non nel senso tecnico del termine. Perchè ci svela, fotografandoli, attimi di poesia fatti di sguardi, di “pensieri”, di incoscienze, di ineffabili discontinuità.
Risulta anche un libro sulla memoria, che dischiude, grazie a quei cammei incastonati nell’immaginazione, fiori di sensazioni e ricordi sepolti sotto la polvere del quotidiano.
Livio Borriello con la sua prosa poetica scatta fotografie dell’anima, quale index per decodificare le nostre vite passate.
Il libro non ha una trama, non fornisce una traccia per orientarvi: sfida a trovarla e deciderla da soli, la via, perchè le contiene tutte. Questo limite si trasforma in una spinta potente alla lettura per indagare con passione speleologica il racconto di noi stessi nei meandri del nostro passato.
E’ anche un saggio di filosofia, apparentemente venata di una forte corrente nichilista:
“il mondo si consuma ogni minuto.ogni minuto si consuma la bellezza di una ragazza a una svolta della strada, ogni minuto si consuma un attimo di afa immobile vicino alla villa comunale.
Ma non c’è niente da fare, se non questa mistica della consunzione”.
Uno sguardo di lettura attento, senza pregiudizi, coglie sicuramente la complessità di una postura esistenziale, attenta alla fisicità del corpo, mai però sottratto all’afflato del divino:
“dio aveva infinite case, e ogni istante ne abitava una, quella sera passò per una puttana negra, con la gonna corta, in piedi sul lungomare”
“tu sei tu a cominciare dalla pelle”.
“l’amore è una luminiscenza prodotta al termine del corpo”
C’è, si scopre, pagina dopo pagina, sotto la patina nichilista si cela un inno alla vita, al “racconto” della vita. Come se il disincanto, il distacco, l’elemento tragico, la morte debba costituire la premessa necessaria di ogni riscatto, di ogni conversione in una logica dialettica immanente.
“la mia strategia: amare più donne contemporaneamente, così che le donne si elidano a vicenda, e le sofferenze si sommino, si tratta di una strategia religiosa, non erotica”
“se amo una donna, io non amo una donna in gabbia, una donna addestrata, una donna all’ingrasso, ma una donna libera e viva, una donna con tutta l’aura delle sue possibilità, con tutta la sua propaggine del possibile”
L’autore ci accompagna sui sentieri difficili delle nostre esistenze, mai lasciandoci stremati.
Ci soccore, ci alimenta con le sue riserve poetiche, imprevedibili e per questo gradite.
“così la foglia e lo sfondo azzurro, contigui
lo stacco, il filo di luce-non-luce che contorna la foglia
l’ape che ci ronza intorno, cucendoli coi suoi filamenti di traiettoria”
ancora:
“che sei tu e che sono io
io sono un sistema di interruzioni del mondo
tu sei gli spazi tra queste interruzioni”
E soprattutto tanta auto-ironia e leggerezza:
“ipotesi di stasera 28 agosto
io sono uno stronzo totale”
“al mafioso:
tu mi vuoi uccidere?
ma se muoio, chi saprà mai che la seconda parte di e penso a
te ( quella che fa ba ba ba ba ba) non mi piaceva?”.
Filippo Ferraro
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